L’articolo di oggi affronta il concetto della lotta agli sprechi evidenziando le categorie nelle quai si dividono.
La lotta totale agli sprechi è, con molta probabilità, il concetto che quasi tutti associano alla produzione lean. Si tratta in pratica di avere una chiara visione del processo da analizzare e migliorare e di individuare tutti gli sprechi presenti. Per facilitare questa ricerca i due maestri di produzione snella Womack e Jones hanno considerato la lista dei sette sprechi individuati dai manager Toyota:
- spreco da produzione in eccesso: tutto quello che è prodotto in più rispetto alla richiesta del cliente costituisce una sovrapproduzione, cioè una produzione maggiore di quella richiesta e di quella che verrà verosimilmente assorbita da mercato. Essa determina l’utilizzo di materiale, macchine, manodopera e risorse maggiori di quanto necessario e dunque rappresenta uno spreco;
- spreco da scorte non necessarie: questo spreco è il più diffuso nelle aziende del nord-est Italia e rappresenta la naturale estensione dello spreco da produzione in eccesso. In pratica si riempie il magazzino di prodotti non richiesti dal cliente in attesa di una (possibile) richiesta futura di tali prodotti. Tale modus operandi, che fino a qualche decennio fa era visto come un arricchimento della fabbrica e del servizio al cliente che non doveva aspettare per avere il prodotto desiderato viene ora all’unanimità classificato come spreco, in quanto è stato ampiamente dimostrato come una simile gestione è all’origine di immobilizzazione di capitali, deperimento delle merci immagazzinate ed elevati (e inutili) costi di gestione.
- spreco da trasporti: tale spreco riguarda lo spostamento dei prodotti all’interno dello stabilimento o addirittura tra diversi stabilimenti, inevitabilmente senza che il valore della merce trasportata aumenti. Tale attività, oltre a non aumentare il valore dei prodotti, rappresenta uno spreco essendo sempre causa di costi di movimentazione o addirittura costi legati a danni o rotture occorsi durante il trasporto. Solitamente questa categoria di sprechi, insieme a quella da scorte non necessarie, sono le più evidenti e le prime che impressionano l’occhio di chi entra in fabbrica;
- spreco che deriva dal processo: in questa categoria rientrano tutte le attività che si compiono durante la produzione e che non aumentano il valore del prodotto
- spreco da inattività: si tratta dello spreco legato alla presenza di manodopera e di macchine in attesa di compiere la propria attività. Le cause più frequenti in questo caso sono legate alla sincronizzazione delle diverse fasi e lavorazioni, alla mancanza di materiali o utensili e alla programmazione della produzione;
- spreco da movimenti non necessari: diversamente dallo spreco da trasporto, in questo caso ci si riferisce ai movimenti del personale all’interno dello stabilimento. Nonostante questa differenza sostanziale rispetto alla movimentazione delle merci, entrambe sono attività che non accrescono il valore del prodotto e che non interessano al cliente. Un approfondito studio dell’ergonomia ed una corretta progettazione del posto di lavoro sono elementi che nella maggior parte dei casi permettono di evitare questo spreco. Il metodo più efficace per individuare l’entità di questo spreco è la spaghetti chart, ovvero una rappresentazione sul layout aziendale dei percorsi compiuti dai lavoratori per qualsiasi motivo. La sommatoria dei singoli percorsi, per ogni lavoratore o globalmente a livello di reparto o di fabbrica, permette di arrivare ad una distanza di percorrenza che spesso è davvero elevata.
I dati rilevati, inoltre, sono frequentemente molto preziosi per lo studio di un nuovo layout e come indicatore di prestazione legato alla qualità dell’organizzazione del posto di lavoro per evidenziare eventuali miglioramenti o peggioramenti nel tempo; - spreco da prodotti difettosi: in questa categoria rientrano tutte le energie e le risorse spese per la realizzazione di prodotti che in qualsiasi modo non soddisfano le specifiche delle richieste del cliente.
L’indagine legata ad uno spreco di questa categoria deve percorrere due filoni di pensiero: la ricerca delle cause e l’individuazione delle motivazioni per cui non ci si è accorti prima della non conformità dei prodotti. Il primo punto ha come obiettivo l’eliminazione delle cause dei difetti riscontrati in modo che non si ripresentino più. Il secondo punto, invece, ha come obiettivo l’individuazione delle non conformità il prima possibile in modo da isolare i prodotti difettosi dal flusso produttivo ed evitare che questi assorbano ulteriori risorse senza generare alcun valore (si veda il concetto di jidoka spiegato più avanti nel testo).
I metodi più diffusi per evitare questo spreco generato da prodotti difettosi sono principalmente due: uno riguardante la fase di progettazione ed ingegnerizzazione del prodotto ed uno riguardante il processo produttivo vero e proprio. Il primo consiste nel FMEA o FMECA e si tratta di una metodologia strutturata che analizza tutte le modalità di guasto o di difetto di un processo, prodotto o sistema complesso. Nella realtà operativa tale analisi viene principalmente utilizzata per l’analisi di prodotti piuttosto che di processi anche se questa seconda applicazione va incentivata dato che si basa su un approccio ampiamente collaudato e che permette di ottenere ottimi risultati. Il secondo metodo di analisi orientato all’individuazione degli sprechi da prodotti difettosi e all’eliminazione delle cause consiste nella predisposizione e compilazione di alcune schede in cui riportare i dettagli dei difetti riscontrati. Una successiva analisi di Pareto sarà poi in grado di evidenziare quali sono le cause più frequenti e, dunque, quelle che richiedono interventi correttivi più urgenti. Solitamente, con questo tipo di analisi, si scopre che circa il 20% delle cause generano circa l’80% dei problemi. Questi due approcci appena introdotti brevemente sono quelli più diffusi, mentre possono esserne utilizzati degli altri a seconda delle caratteristiche del prodotto e del processo da analizzare.
Finora si è fatto uso del termine muda per identificare gli sprechi, ma, vista la sua importanza nel pensiero snello, vale la pena di approfondire i concetti che si nascondono dietro questa parola. Il termine muda identifica naturalmente gli sprechi, ma alcuni secoli fa questo termine aveva un significato più specifico rispetto agli sprechi in generale. Identificava, infatti gli sprechi originati in un contesto di bisogno e mancanza di risorse. Questo permette di capire come il significato di questo termine sia ulteriormente più dispregiativo del solo spreco di risorse. Oltre al sostantivo muda sono meno ricorrenti, ma utilizzati ugualmente dagli esperti di lean manufacturing altri due termini per identificare degli elementi causa di problemi nel flusso ovvero mura, che significa variabilità e muri, sovraccarico di lavoro superiore alla regolare velocità operativa (spezzando o accelerando forzosamente il ritmo stabilito).
20 dicembre 2011 at 19:51
Buon articolo introduttivo…spero che arrivino presto degli esempi pratici di applicazione nelle aziende italiane. Ci sono così tanti sprechi che non sarà difficile individuarne alcuni come esempi e proporre delle possibili soluzioni!